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Il nome delle cose

Michele, vecchio pettinatore di spiagge e di mondi, vestito della sua mite eterna curiosa fanciullezza, cammina le radici di un globo di tempo la cui cadenza solo lui sa ascoltare, raccogliendo il suono dei mille silenzi che lo circondano, quando i sogni si coagulano in materia e lo spazio si armonizza e afferra l’aria che muove canzoni che narrano i nomi delle cose e che le cose già posseggono, possedute dai nomi che vibrano attorno.
Una, dieci, mille pietre non più chiuse nella forma muta della loro memoria e che cantano il gigantismo del particolare, inseguendo i frattali di un circolare senso del tempo, alla ricerca dinamica di un giusto rapporto armonico tra vita, realtà e trascendenza e poi calcare orme già segnate e proprie di un cammino che sempre appartiene al tempo.
Quasi un diario pregno di ricordi di cose uccise, che gli uomini e le città dimenticano e lasciano cadere.

Raccogliere i corpi, carezzare i ricordi nell’estasi amorosa di reinventarne le forme e occupare lo spazio nuovo di un quotidiano meraviglioso dove mai si dice mai, né sempre, né eterno.
Un quotidiano meraviglioso dove i sogni delle cose si annodano e legano in armonie che l’amore materializza e dove le piccole cose e i piccoli pensieri giganteggiano il loro proiettarsi sopra il buio dell’infinito.

Un filo che vince la gravità, annoda ogni pensiero e calibra ogni cosa, inventando volumi nuovi, consueti e antichi, senza nodi di mistero e regalandoci l’infinità di non aggomitolare il tempo.

C’è un leggèro peso di banalità in tutte le letture che le cose e gli oggetti ci pongono, ed è ciò che ci fa più presenti.

Milano, lunedì 4 giugno 2007
Paolo per Michele.

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