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Guardare il mondo lentamente dal basso

I recenti lavori di Michele Lorenzelli di Angela Madesani

Quando si pensa a un lavoro socialmente impegnato è difficile che il pensiero corra a una scultura non figurativa. Piuttosto fotografia, video, linguaggi più immediati. In tal senso Michele Lorenzelli costituisce un’eccezione. Il suo lavoro qui presentato è un lavoro di presa di coscienza, di denuncia che si situa nel particolare momento storico in cui ci è dato vivere. Il consumismo è trionfante: prendiamo, utilizziamo, velocemente, senza consapevolezza e poi gettiamo giorno dopo giorno.
Non a caso il problema dei rifiuti è uno dei più complessi e ingestibili del mondo cosiddetto evoluto che va da occidente a oriente senza soluzione di continuità intercalato da sacche di tragica povertà.
Quella di Lorenzelli è una riflessione sullo spreco, sui danni che ci porta, sull’esagerazione.
E dunque sulla velocità.
Non a caso le sculture costituite da bancali di legno e catrame qui presentate si intitolano “Lentamente”.
Rispetta in silenzio la natura delle cose, il loro andamento, i tempi lunghi dell’irrevocabile trasformazione.
Il suo è un lavoro ostico, difficile, poco gradevole, in cui è forte la dimensione del tempo.
Il suo è un processo lento di reperimento, raccolta e trasformazione di un pezzo di materia per farne emergere le componenti originarie.
Quindi l’intervento dell’artista, che diviene alchimista nel tentativo-qui riuscito- di ridare una nuova dignità alle cose.
Certo l’utilizzo dello scarto, del trash non è una novità, tutto il secolo che ci ha preceduti lo ha fatto.
Si pensi alle avanguardie storiche, ma anche a artisti come Michel Paysant, che ha utilizzato per le sue sculture l’asfalto raccolto per le strade di Roma negli anni Novanta.
Lorenzelli tenta di trasformare le cose che la gente ha buttato via in qualcosa di diverso.
Così si rischia di trovare appeso nelle case, circonfusi dall’aura dell’arte oggetti che poco prima stavano nella pattumiera, maltrattati e negletti.
Ma questo è il lato ironico della faccenda: la voglia di nobilitare i rifiuti e anche di cogliere la relatività delle cose.
Chi decide cosa deve essere conservato e cosa no?
È il dubbio del quotidiano.
Non esistono certezze, i dogmi sono banditi.
La sua volontà è quella di raccontare un altro possibile modo di vivere, che riesca a recuperare degli aspetti che stiamo perdendo definitivamente.
Una certa sensibilità, senza fare retorica, senza azioni eclatanti.
I primi bancali erano costituiti da legni seminuovi strappati ai denti voraci del tritatutto sulla strada del mercato di Papiniano a Milano.
Ha iniziato a raccoglierli, a portarli in studio, a osservarli e quindi a riutilizzarli con quella calma, quella lentezza, quella pacatezza che lo contraddistinguono, anche nell’atteggiamento di fronte alla vita.
Il catrame non è un materiale casuale, è memoria: dei passi, delle ruote, raccoglie i detriti, le storie della gente che ogni giorno lo ha percorso: sola, con il cane, vecchia, giovane, ricca, povera.
Non ha importanza, questa volta il mondo lo guardiamo dal basso. Lorenzelli è interessato da quello che resta dei processi, dall’esito dell’abbandono incondizionato che caratterizza la nostra esistenza.
La sua, del resto, è una storia con la materia, all’interno di essa, lui viene dalla pietra, in Toscana, in un paese dal nome fatidico, Sassetta, dove è nato e vissuto per anni.
La sua è una voce fuori dal coro del conformismo dell’arte, un sussurro, ma fermo e determinato, teso a sottolineare e a cogliere l’essenza delle cose.
Così nel tentativo, riuscito, di rompere un ritmo solo apparentemente irrevocabile, dominato dalla piattezza, dall’accettazione, senza via di scampo, in cui a prevalere è l’esteriorità, fasulla consolazione per riuscire ad accettare la fenomenicità del circostante.

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